GINOCCHIO


Arto inferiore

OSSA E LEGAMENTI DEL GINOCCHIO

Il ginocchio è un’articolazione a cerniera che consente movimenti di flessione e di estensione (tavole 88-91). In flessione esiste una sufficiente lassità che permette una piccola rotazione volontaria; nel movimento di completa estensione vi è una leggera rotazione mediale del femore (rotazione congiunta) che consente il raggiungimento della posizione di maggior stabilità. I condili del femore hanno superfici articolari più ampie rispetto a quelle dei condili della tibia e vi è una componente di rotazione e di scivolamento delle superfici del femore che esaurisce tale discrepanza. Allorché si è raggiunta la posizione di estensione, il menisco laterale, più piccolo, viene dislocato in avanti sulla tibia e si pone saldamente in un incavo del condilo laterale di femore, il che tende a bloccare l’estensione. Il condilo mediale del femore è comunque ancora in grado di scivolare verso l’addietro, portando così la sua superficie anteriore e più piatta a completo contatto con la tibia. Tali movimenti di rotazione congiunta portano i legamenti crociati in una posizione di tensione o di blocco. I legamenti collaterali vengono tesi massivamente e ne risulta una posizione di estensione completa stabile e serrata. La tensione dei legamenti e la stretta vicinanza delle parti più piatte dei condili fa sì che la posizione eretta possa essere mantenuta con relativa facilità.
La sequenza di eventi che si verificano nella flessione è l’’universo di quanto avviene nell’estensione. La flessione può essere effettuata con un movimento di circa 130 gradi e alla fine viene limitata dal contatto fra il polpaccio e la coscia. I muscoli implicati in tali movimenti del ginocchio sono principalmente i muscoli della coscia.
Nel ginocchio vi sono tre articolazioni: l’articolazione femore-patellare e le due articolazioni femoro-tibiali. Le ultime due sono separate dai legamenti crociati intra-articolari e dalla piega sinoviale infrapatellare. Le tre cavità articolari sono connesse da strette aperture.
Le superfici articolari del femore sono i suoi condili mediale e laterale e la superficie patellare. I condili sono foggiati a forma di spessi ovoidi divergenti inferiormente e posteriormente. Le loro superfici gradualmente variano da una leggera curvatura anteriore ad una curvatura più accentuata posteriormente e sono separate dalla superficie patellare da un lieve solco.
Sulla faccia superiore della tibia vi sono due distinte aree, ricoperte da cartilagine. La superficie del condilo mediale è più ampia, ovalare e leggermente concava; quella del condilo laterale è approssimativamente circolare, concava trasversalmente, ma concavo-convessa antero-posteriormente. Le fosse delle superfici articolari sono rese più profonde da menischi discoidali.
La capsula articolare dell’articolazione del ginocchio è difficilmente separabile dai legamenti e dalle aponeurosi sovrapposti ad essa. In posizione posteriore le sue fibre verticali originano dai condili e dalla fossa intercondiloidea del femore; inferiormente tali fibre sono ricoperte dal legamento popliteo obliquo. La capsula articolare si inserisce ai condili della tibia e, in forma incompleta, ai menischi. I legamenti esterni che rinforzano la capsula articolare sono costituiti dalla fascia lata e dal tratto ilio-tibiale, dai retinacoli della patella mediale e laterale e dai legamenti patellare, popliteo obliquo e popliteo arcuato. Anche il legamento collaterale tibiale costituisce un valido rinforzo alla capsula articolare sul lato mediale.
I tendini aponevrotici dei muscoli vasti aderiscono ai lati della patella e successivamente si espandono sulla faccia anteriore e sui lati della capsula articolare come retinacoli mediale e laterale della patella. Inferiormente, essi si inseriscono sulla faccia anteriore dei condili della tibia e sulle loro linee oblique fino ai lati dei legamenti collaterali. Superficialmente, la fascia lata riscopre e si confonde con i retinacoli della patella, quando essa si porta in basso per aderire ai condili della tibia e alle loro linee oblique. Lateralmente, il tratto ilio-tibiale si piega verso l’avanti al di sopra del retinacolo laterale della patella e si fonde con la capsula articolare anteriormente; il suo margine posteriore è libero ed il tessuto adiposo tende ad interporsi fra esso e la capsula.
Il legamento patellare è la continuazione del tendine del muscolo quadricipite del femore diretto alla tuberosità della tibia. Fascio estremamente robusto e relativamente piatto, esso si attacca sul contorno superiore della patella e si continua davanti alla sua faccia anteriore, terminando talora obliquamente sulla tuberosità della tibia. Una borsa infrapatellare profonda è interposta fra il legamento patellare e l’osso. Un’’ampia borsa infrapatellare sottocutanea è presente nel tessuto che ricopre il legamento patellare.
Il legamento popliteo obliquo è una delle espansioni del tendine del muscolo semimembranoso che rafforza la faccia posteriore della capsula articolare. Allorché questo tendine si inserisce nel solco posto sulla superficie posteriore del condilo mediale della tibia, esso emette tale espansione obliqua che, diretta lateralmente e verso l’alto, incrocia la faccia posteriore della capsula articolare.

Legamenti collaterali.
Questi legamenti impediscono l’ipertensione dell’articolazione e qualsiasi angolazione in abduzione-adduzione (Tavola 88-91). I vasi sanguiferi geniali inferiori passano fra essi e l’articolazione, ma soltanto il legamento collaterale fibulare si trova chiaramente al di fuori della capsula articolare. Il legamento collaterale tibiale è un fascio robusto e piatto che si estende fra i condili mediali del femore e della tibia. Esso è ben definito anteriormente e si unisce al retinacolo mediale della patella. Il tendine della zampa d’oca ricopre inferiormente il legamento ed essi sono separati dalla borsa anserina. La parte posteriore del legamento è caratterizzata da fibre a decorso obliquo le quali convergono a livello dell’articolazione provenendo da sopra e da sotto e fornendo al legamento un’intersezione nel menisco mediale. La principale inserzione inferiore del legamento è situata circa 5 cm. inferiormente alla superficie articolare della tibia, immediatamente dietro all’’inserzione della zampa d’oca.
Il legamento collaterale fibulare è una formazione cordoniforme, arrotondata, che è completamente separata dalla capsula articolare dell’articolazione del ginocchio. Esso prende inserzione sul condilo laterale del femore, superiormente ed inferiormente al solco del muscolo popliteo; termina inferiormente sulla faccia laterale della testa della fibula circa 1 cm. anteriormente al suo apice. Il tendine del muscolo popliteo si porta in profondità al legamento collaterale fibulare, ed il tendine del muscolo bicipite del femore si divarica attorno alla sua inserzione fibulare, con l’interposizione di una piccola borsa sottotendinea inferiore. Un’altra borsa è situata sotto l’estremità superiore del legamento collaterale fibulare e lo separa dal tendine del muscolo popliteo. La membrana sinoviale dell’articolazione, protendendo in forma di recesso sottopopliteo, separa il tendine del muscolo popliteo dal menisco laterale.

Legamenti crociati.
I legamenti crociati impediscono il movimento in avanti o in addietro della tibia sotto i condili del femore (Tavole 90 e 91); sono in una certa tensione in tutte le posizioni di flessione, ma vengono posti veramente sotto tensione nella completa estensione e nella completa flessione. Essi sono situati interamente nella capsula articolare dell’articolazione del ginocchio nel piano verticale fra i due condili, ma sono esclusi dalla cavità sinoviale da rivestimenti della membrana sinoviale. Il legamento crociato anteriore origina dall’area rugosa e non articolare posta davanti all’eminenza intercondiloidea della tibia e si estende verso l’alto e verso il dietro fino alla parte posteriore della faccia mediale del condilo laterale del femore. Il legamento crociato posteriore si porta verso l’alto e verso l’avanti sul lato mediale del legamento anteriore. Esso si estende da dietro l’eminenza intercondiloidea della tibia alla faccia laterale del condilo mediale del femore.
Menischi. Queste formazioni semilunari di fibrocartilagine sono sovrapposte alle porzioni periferiche delle superfici articolari della tibia (Tavole 89 e 90). Più spessi a livello dei loro margini esterni ed assottigliantisi via via con i bordi liberi all’’interno dell’articolazione, i menischi si portano in posizione profonda nella fossa articolare per raccordarsi con i condili del femore. Essi sono inseriti ai margini esterni dei condili della tibia e con le loro estremità anteriore e posteriore alla sua eminenza intercondiloidea.
Il menisco mediale è più largo e di forma quasi ovalare. Più ampio posteriormente, si assottiglia anteriormente nel punto di inserzione all’area intercondiloidea della tibia davanti all’origine del legamento crociato anteriore. Il menisco laterale è più circolare. Per quanto più piccolo del menisco mediale, esso ricopre una parte un poco maggiore di superficie tibiale. Anteriormente, esso si inserisce all'area intercondiloidea anteriore, lateralmente e posteriormente alla estremità del legamento crociato anteriore. Posteriormente, esso termina a livello dell’area intercondiloidea posteriore davanti all’estremità del menisco mediale. Il menisco laterale è debolmente attaccato attorno al margine del condilo laterale della tibia e manca di un attacco dove esso è incrociato dal tendine del muscolo popliteo. Nella parte posteriore dell’articolazione, il menisco laterale dà origine ad alcune delle fibre del muscolo popliteo e, in prossimità della sua inserzione posteriore alla tibia, esso spesso dà origine ad un gruppo di fibre note come legamento menisco-femorale posteriore. Questo può unirsi al legamento crociato posteriore o può inserirsi al condilo mediale del femore posteriormente al legamento crociato. Un occasionale legamento menisco-femorale anteriore presenta rapporti simili ma in avanti con il legamento crociato posteriore. Il legamento traverso del ginocchio connette il margine convesso anteriore del menisco laterale all’estremità anteriore del menisco mediale.
Membrana sinoviale e cavità articolare. La cavità articolare del ginocchio è il più grosso spazio articolare del corpo. Essa comprende lo spazio fra e attorno ai condili, si estende verso l’alto al di dietro della patella per includere l’articolazione femoro-patellare e comunica liberamente con la borsa soprapatellare fra il tendine del muscolo quadricipite del femore ed il femore. La membrana sinoviale riveste la capsula articolare e la borsa soprapatellare. Recessi della cavità articolare sono pure delimitati dalla membrana sinoviale; il recesso sottopopliteo è già stato descritto. Esistono altri recessi dietro la parte posteriore di ogni condilo del femore; all’estremità superiore del recesso mediale, la borsa posta sotto il capo mediale del muscolo gastrocnemio può aprirsi all’interno della cavità articolare.
Il corpo adiposo infrapatellare costituisce la posizione anteriore del setto mediano che, con i legamenti crociati, separa le due articolazioni femoro-tibiali. Dai margini laterale e mediale della superficie articolare della patella alcune pieghe della membrana sinoviale si spingono all’interno dell’articolazione e formano due pieghe alari frangiformi, che raccolgono raccolte di tessuto adiposo..
Vasi e nervi. Nella regione del ginocchio esiste un’importante anastomosi del ginocchio. Essa è costituita da un plesso superficiale posto superiormente ed inferiormente alla patella, cui si associa un plesso profondo posto sulla capsula articolare dell’articolazione del ginocchio e sulle adiacenti superfici ossee. Tale anastomosi prende origine dalle interconnessioni terminali di dieci vasi. Due di questi discendono al ginocchio: il ramo discendente dell’arteria circonflessa laterale del femore e l’arteria suprema del ginocchio dell’arteria femorale. Cinque sono rami dell’arteria poplitea a livello del ginocchio: le arterie superiore mediale, superiore laterale, media, inferiore mediale e inferiore laterale del ginocchio. Tre rami di arteria della gamba risalgono fino all’anastomosi: le arterie ricorrente tibiale posteriore, peronea circonflessa e ricorrente tibiale anteriore. Vene che portano gli stessi nomi accompagnano tali arterie. I vasi linfatici dell’articolazione del ginocchio drenano nei linfonodi poplitei ed inguinali.
I nervi dell’articolazione del ginocchio sono numerosi. Rami articolari del nervo femorale raggiungono il ginocchio tramite i nervi per i muscoli vasti ed il nervo safeno. Il ramo posteriore di divisione del nervo otturatore termina nell’articolazione, dove anche sono presenti rami articolari dei nervi tibiale e peroneo comune.
Patella. La patella o rotula, è un grosso osso sesamoideo sviluppatosi nel tendine del muscolo quadricipite del femore (Tavole 88, 89 e 91). Essa è giustapposta alla superficie articolar anteriore dell’estremità inferiore del femore e, tenendo a distanza il tendine stesso dall’estremità inferiore del femore, migliora l’angolo di inserzione del tendine sulla tuberosità tibiale. La superficie anteriore, convessa, della patella appare striata verticalmente dalle fibre tendinee. Il margine superiore è spesso e fornisce inserzione alle fibre tendinee dei muscoli retto del femore e vasto intermedio. I margini laterale e mediale sono più sottili: essi ricevono le fibre provenienti dai muscoli vasto laterale e vasto mediale. Tali margini convergono verso l’apice, appuntito, della patella il quale dà inserzione al legamento patellare. La superficie articolare è un’area liscia ovolare, divisa in due faccette da un rilievo verticale. Il rilievo si adatta al solco della superficie patellare del femore e la faccetta mediale e laterale vanno a corrispondere alla superficie del femore che le fronteggia. La faccetta laterale è più profonda rispetto a quella mediale. Inferiormente all’area articolare delle faccette esiste una porzione rugosa, non articolare, dalla quale origina la metà inferiore del legamento patellare.
La patella mantiene un contatto mobile con il femore in tutte le posizioni del ginocchio. Allorché il ginocchio si sposta da una posizione di completa estensione ad una posizione di completa flessione, prima la parte superiore, poi quella media ed infine quella inferiore della patella vengono a contatto con la superficie patellare del femore.
L’ossificazione avviene con partenza da un singolo centro, il quale compare all’inizio del terzo anno di vita. L’ossificazione completa si attua all’età di circa 13 anni nel maschio e di circa 10 anni nella femmina.



Lesioni traumatiche del ginocchio.
Il ginocchio è una diartrosi tra le superfici del femore, della tibia e della rotula. I legamenti principali che vincolano i segmenti ossei sono i collaterali, laterale e mediale, e i crociati, anteriore e posteriore. Due cartilagini semilunari, i menischi mediale e laterale, contribuiscono a stabilizzare il ginocchio e ammortizzano le sollecitazioni esercitate dal femore sulla tibia. Il gruppo dei muscoli posteriori della coscia ha azione flessoria sul ginocchio, mentre il quadricipite possiede azione estensoria. Il meccanismo quadricipitale è complesso ed è costituito dal muscolo quadricipite, dal suo tendine, che si inserisce alla rotula, dalla rotula, con i legamenti alari mediale e laterale e infine dal legamento rotuleo, che unisce la rotula alla tuberosità tibiale.

Artrocentesi del ginocchio.
La tumefazione, l’ecchimosi e la dolorosità sono indici di un’importante lesione traumatica a carico del ginocchio. Altri segni clinici possono consistere in versamento articolare, limitazione funzionale ed instabilità. Per definire la natura della lesione intra-articolare viene spesso eseguita l’artrocentesi (Tavola 94). Un grosso ago (almeno 18G) viene introdotto per via antero-mediale o antero-laterale, ponendo attenzione a ledere la cartilagine articolare.
Il liquido prelevato viene sottoposto a colorazione di Gram, inviato a esame colturale ed esaminato al microscopio a luce polarizzata, per individuare la presenza di eventuali cristalli. Viene eseguita la conta eritrocitaria e leucocitaria e viene misurata la concentrazione di glucosio. L’articolazione normale contiene non più di 5 ml. Di liquido, che appare limpido, di colore giallo pallido e più viscoso dell’acqua. Il liquido sinoviale normale contiene circa 65 leucociti per mm3, in gran parte linfociti e monociti. Nelle flogosi acute la percentuale di polimorfonucleati aumenta rispetto ai linfociti e ai monociti.
I versamenti sinoviali vengono classificati in quattro gruppi. Al I gruppo appartengono i versamenti non infiammatori, il II gruppo è formato dai versamenti infiammatori; nel III gruppo sono comprese le raccolte settiche; il IV gruppo è costituito dai versamenti emorragici. Nel I gruppo il liquido sinoviale, che presenta viscosità elevata e colore che va dal giallo pallido al giallo carico, è trasparente. La conta leucocitaria fornisce valori generalmente inferiori a 200/mm3 e circa il 25% circa degli elementi cellulari è costituito da leucociti polimorfonucleati. La concentrazione del glucosio è simile a quella del siero. I versamenti del I gruppo sono caratteristici delle articolazioni artrosiche.
 Il liquido sinoviale dei versamenti del II gruppo presenta bassa viscosità; il colore può variare dal giallo al verde chiaro ed è traslucido. Frequentemente la conta leucocitaria fornisce valori compresi fra 2.000 e 75.000/mm3; circa il 50% delle cellule sono leucociti polimorfonucleati. La concentrazione del glucosio è solitamente inferiore a quella del siero. Questo tipo di versamento si ritrova nelle articolazioni affette da artrite reumatoide.
Il liquido sinoviale dei versamenti del III gruppo è caratteristico dei processi settici; la sua viscosità ed il suo colore sono variabili, ma l’aspetto è costantemente opaco. Spesso la conta leucocitaria è dell’’ordine dei 100.000/ mm3; prevalgono i polimorfonucleati (75%). Il livello del glucosio è significativamente inferiore a quello del siero. Il liquido sinoviale dei versamenti del IV gruppo è ematico; la sua viscosità è variabile e spesso ad un primo esame esso può sembrare sangue intero. Un versamento ematico (emartro) è spesso associato a rottura del legamento crociato anteriore.
Una raccolta ematica contenente numerose gocciole di grasso è indice di frattura articolare. La componente adiposa può essere tale da rendere radiograficamente visibile in proiezione laterale un sottile strato di grasso all’interno dell’articolazione. Dopo l’aspirazione il grasso si presenta nella siringa come uno strato distinto che galleggia al di sopra del liquido sinoviale e del sangue. Anche altre lesioni traumatiche, quali l’avulsione di un legamento dalla sua inserzione ossea possono essere causa di un emartro, nel quale sono visibili scarse gocciole di grasso. Un’ampia lacerazione della capsula articolare può essere responsabile di un versamento di piccole proporzioni o non accompagnarsi del tutto a versamento; attraverso la breccia il sangue e il liquido sinoviale, infatti, possono diffondere nei tessuti periarticolari e quindi non è possibile la loro aspirazione del cavo articolare.

Rotture meniscali
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    Due cartilagini semilunari, i menischi mediale e laterale, aumentano la congruenza articolare del ginocchio e svolgendo una funzione di ammortizzazione. Le fibrocartilagini meniscali, che hanno forma a “C”, sono frequentemente sede di lesioni traumatiche, per lo più secondarie a sollecitazioni di tipo torsionale. Le lacerazioni possono interessare l’uno o l’altro dei menischi o entrambi contemporaneamente (Tav. 95). La rottura meniscale diviene sintomatica allorché la porzione lacerata divenuta mobile, scivolando si interpone fra le superfici articolari del femore e della tibia. I pazienti con rottura e lussazione meniscale spesso lamentano dolore a livello della rima articolare e blocco dell’estensione, della flessione o di entrambi i movimenti. Spesso il ginocchio presenta cedimenti e versamenti recidivanti.
    La lesione a manico di secchio consiste in una lacerazione longitudinale del menisco. La porzione lacerata resta unita ai corni anteriore e posteriore, La porzione instabile (il manico del secchio) che si lussa all’interno della gola intercondiloidea impedisce la completa estensione del ginocchio. Il paziente può essere capace di portare manualmente il ginocchio in completa estensione, e ciò spesso avviene con un rumore chiaramente udibile e con uno scatto apprezzabile con la palpazione. Questo suono e la transitoria risoluzione della sintomatologia testimoniano la riduzione della porzione del manico di secchio in posizione normale.
    Le piccole rotture a decorso radiale sono inizialmente causa di una sintomatologia assai sfumata; se non trattate possono evolvere in rotture “a becco di pappagallo”, più ampie e più sintomatiche. Il lembo mobile del menisco è responsabile di segni di origine meccanica, quali versamenti recidivanti, cedimenti e sensazioni di blocco. Le lacerazioni orizzontali si presentano come delaminazioni del tessuto meniscale; se trascurate danno frequentemente luogo alla formazione di un lembo meniscale, che può essere responsabile di segni meccanici.
    Quando la porzione instabile del menisco resta incarcerata nella gola intercondiloidea, il ginocchio va incontro a blocco. Un blocco articolare può essere dovuto anche a un corpo libero o a un moncone residuo del legamento crociato anteriore lacerato. Questa situazione richiede un intervento urgente; i tentativi di carico e di mobilizzazione, infatti, provocano lesioni erosive gravi e permanenti a carico delle superfici articolari del femore e della tibia. Allo scopo di ridurre le sollecitazioni traumatiche sulla cartilagine articolare, durante l’artroscopia viene asportata solamente la porzione del menisco interessata. Nel corso dell’intervento è possibile che, con il paziente anestetizzato, si verifichi la spontanea riduzione del blocco. Una volta indotta l’anestesia, il ginocchio viene esaminato alla ricerca di eventuali instabilità legamentose, dopo di che si procede all’intervento artroscopico. In presenza di rottura meniscale, la porzione lacerata viene asportata con l’apposito strumentario.
    Poiché il terzo esterno del menisco è vascolarizzato, è possibile che le piccole lacerazioni periferiche localizzate in questa zona guariscano. Le lacerazioni periferiche di dimensioni superiori possono venire riparate artroscopicamente mediante suture che accollano la porzione a manico di secchio alla parte meniscale vascolarizzata.
    Il programma riabilitativo che segue all’artroscopia e alla menisctectomia parziale prevede generalmente un periodo assai breve di immobilizzazione, l’inizio immediato del carico e la fisioterapia precoce. Questa consiste nella rieducazione al passo, nella mobilizzazione attiva e passiva e negli esercizi di rinforzo della muscolatura quadricipitale. Dopo sutura meniscale è preferibile attendere alcune settimane prima di intraprendere la fisioterapia e la mobilizzazione articolare.
    
Fratture della rotula.
    La rotula va incontro a frattura quando la sua resistenza intrinseca, sommata a quella dell’espansione quadricipitale, viene superata dalla trazione esercitata dal muscolo quadricipite (Tavola 96). Le fratture sono solitamente causate da traumi indiretti, soprattutto nei casi in cui il quadricipite si contrae violentemente nel tentativo di estendere il ginocchio che si trova in flessione forzata. Il paziente inciampa, avverte il dolore di rottura, sente uno scroscio e cade allorché si verifica la frattura della rotula. Immediatamente dopo la frattura, se il quadricipite continua a contrarsi e il ginocchio a flettersi, si verifica la lacerazione dei legamenti alari mediale e laterale. Il grado della loro lacerazione condiziona l’entità della diastasi dei frammenti rotulei. Le fratture da trauma indiretto hanno solitamente decorso trasversale e talvolta sono comminute.
    La rotula, osso sesamoide, è inoltre esposta alle lesioni derivanti da traumi diretti. L’urto del ginocchio contro il cruscotto di un’automobile o una caduta a terra spesso determinano fratture gravemente comminute. Si tratta per lo più di fratture composte: se la sintomatologia dolorosa non è eccessiva, il paziente è in grado di estendere attivamente il ginocchio. Le fratture verticali sono rare e solitamente la loro scomposizione è minima.
    Le fratture composte vengono trattate immobilizzando il ginocchio in estensione completa con una ginocchiera o con una doccia gessata. La consolidazione richiede circa sei settimane; trascorso tale periodo è possibile iniziare la mobilizzazione attiva e cauti esercizi di mobilizzazione passiva. Le fratture trasversali con diastasi superiore a qualche millimetro richiedono il trattamento chirurgico; i frammenti devono essere ridotti in posizione anatomica. I retinacula mediale e laterale vengono ricostruiti e i frammenti ossei vengono sintetizzati con cerchiaggio dinamico “a 8” attorno a due chiodi di Steinmann paralleli. L’estensione completa del ginocchio non deve essere consentita prima della consolidazione completa.
    Nelle fratture del polo prossimale o distale con grave comminuzione viene eseguita una patellectomia parziale allo scopo di conservare almeno una metà della superficie articolare. Il tendine quadricipitale o il legamento rotuleo vengono reinseriti alla porzione residua della rotula e i retinacula mediale e laterale vengono ricostruiti. Il ginocchio viene quindi immobilizzato in estensione completa con una ginocchiera o con una doccia gessata per sei settimane; successivamente è possibile iniziare la mobilizzazione protetta e il carico diretto. La patellectomia viene presa in considerazione solo nel caso di fratture severamente comminute, dato che l’asportazione della rotula compromette gravemente la biomeccanica dell’apparato estensore.
    Le fratture osteocondrali sono causate da un meccanismo completamente diverso. Durante una manovra forzata di riduzione di lussazione laterale della rotula, dalla sua faccetta mediale ( e più raramente dal condilo femorale laterale) può distaccarsi un frammento osseo. La sintomatologia clinica è allora caratterizzata dal dolore lungo il versante anteromediale del ginocchio, da spiccata tumefazione dovuta a emartro, da blocco meccanico e da scroscio articolare. I frammenti possono essere interamente cartilaginei e quindi risultare difficilmente visibili all’esame radiografico standard, mentre la loro visualizzazione è possibile nelle proiezioni assiali della rotula. Il frammento mobile viene solitamente rimosso artroscopicamente; quando il frammento sia di dimensioni notevoli, è possibile la sua sintesi.

Rotture del tendine quadricipitale e del legame rotuleo.
    Le lesioni dell’apparato quadricipitale, che sono generalmente più frequenti nell’anziano, si verificano solitamente durante la contrazione attiva del quadricipite sul ginocchio in flessione forzata (Tavola 97). Il tendine può risultare indebolito per fenomeni involutivi legati all’invecchiamento o per alterazioni secondarie ad artrite psoriasica, artrite reumatoide, arteriosclerosi, gotta, iperparatiroidismo, diabete, insufficienza renale cronica o terapia steroidea.
    Al momento del trauma il paziente accusa un dolore improvviso, che può essere associato a sensazione di lacerazione a carico del ginocchio. All’esame clinico il riscontro più importante è costituito dall’impossibilità di estendere attivamente e completamente il ginocchio contro gravità. Il paziente inoltre può non essere in grado di mantenere esteso il ginocchio, una volta che questo sia stato portato passivamente in estensione. I soggetti con rottura del tendine quadricipitale o del legamento rotuleo possono riuscire a estendere attivamente il ginocchio fino a 10° dall’estensione completa, quando i retinacula mediale o laterale siano integri. In caso di ampia diastasi del tendine o del legamento associata ad interessamento dei retinacula mediale e laterale, l’’estensione attiva risulta assai difficile.
    La palpazione del ginocchio rivela la presenza di un ematoma che può renderne difficoltoso l’esame. Una patella in posizione eccessivamente alta può essere indice di rottura del legamento rotuleo, mentre la situazione bassa della rotula depone per la rottura del tendine quadricipitale. All’esame palpatorio la diastasi può risultare evidente: se la rottura viene misconosciuta, dopo alcune settimane o mesi il solco viene riempito da tessuto cicatriziale. I pazienti con rottura inveterata del tendine quadricipitale lamentano fenomeni di cedimento del ginocchio e marcata riduzione della forza dell’apparato estensore.
Generalmente la rottura del tendine quadricipitale si verifica a livello della sua inserzione al polo superiore della rotula, mentre la rottura del legamento rotuleo avviene solitamente a livello del margine inferiore: in entrambi i casi, per ripristinare la continuità dell’apparato estensore è necessario ricorrere al trattamento chirurgico. Il tendine o il legamento vengono reinseriti con una sutura pesante attraverso fori transossei; vengono quindi ricostruiti i retinacula mediale e laterale. Dopo l’intervento il ginocchio viene immobilizzato in estensione completa per 6 settimane in una ginocchiera o in una doccia gessata.
I pazienti affetti da malattie metaboliche croniche o sottoposti a trattamento steroideo a lungo termine solitamente richiedono trattamenti più complessi, che prevedono il rinforzo dell’apparato estensore mediante innesti di tendine, di fascia o con cerchiagli. Dopo un periodo post-operatorio di immobilizzazione della durata di 8-100 settimane i pazienti vengono gradualmente avviati a esercizi di mobilizzazione protetta e per qualche tempo devono utilizzare le stampelle o un bastone.
La rottura del legamento rotuleo può localizzarsi anche a livello dell’’inserzione tibiale ed essere eventualmente associata a frattura della tuberosità tibiale.
Nei bambini con cartilagini di accrescimento ancora fertili il legamento deve essere suturato, poiché questo tipo di lesione può disturbare l’accrescimento della porzione prossimale della tibia. Nell’adulto l’avulsione del legamento dalla tuberosità tibiale viene riparata con una sutura passata attraverso fori transtibiali o reinserendo il legamento stesso con una cambra o una vite. Le fratture scomposte della tuberosità tibiale vengono trattate con riduzione e sintesi con vite.

Sublussazione e lussazioni della rotula.
La sublussazione della rotula è una condizione di comune riscontro nella quale la rotula non scorre correttamente nella fossa patellare dell’epifisi femorale distale (Tavola 98). La sublussazione, che è spesso associata a ginocchio valgo e a extratorsione tibiale, è più frequentemente sintomatica nelle adolescenti e nelle giovani donne.
L’aumento dell’angolo Q (formato dall’intersezione di due linee tracciate dalla spina iliaca anteriore-posteriore e dalla tuberosità tibiale verso il centro della rotula) sembra associarsi a un’aumentata predisposizione alla sublussazione o alla lussazione della rotula.
I pazienti lamentano una gonalgia in sede anteriore, accentuata da alcune attività
quali il salire le scale e associata a sensazione di cedimento del ginocchio. L’esame clinico evidenzia una dolorabilità lungo il margine mediale della patella, la presenza di scroscio femoro-rotuleo, l’atrofia del quadricipite (particolarmente evidente a carico delle fibre oblique del vasto mediale) e un’aumentata mobilità laterale della rotula. Il test dell’apprensione (segno di Fairbank) è positivo se il paziente avverte dolore nel contrarre con vigore il quadricipite mentre l’esaminatore tenta di sublussare lateralmente la rotula. Se la sublussazione non viene trattata il retinaculum laterale va progressivamente incontro a retrazione, peggiorando così ulteriormente la dinamica femoro-rotulea.
Nelle sublussazioni il trattamento di scelta è di tipo conservativo e consiste in esercizi di rinforzo del quadricipite effettuati in un arco ridotto di movimento e nell’impiego di anti-infiammatori non steroidei a scopo antalgico. La terapia fisica ha il fine di aumentare il tono dei fasci obliqui del vasto mediale, che migliora i rapporti femoro-rotulei. Per un reale rinforzo di questo muscolo è necessario che durante gli esercizi venga raggiunta l’estensione completa del ginocchio. Nei pazienti affetti da sublussazione della rotula, la compressione della patella contro il femore provoca la comparsa di dolore. Limitando il grado di flessione del ginocchio durante gli esercizi si riduce il grado di compressione; ciò appare utile per alleviare la sintomatologia durante la fase di riabilitazione del quadricipite. Talora l’applicazione di un tratto di benda elastica adesiva a livello del legamento rotuleo si rivela utile nel ridurre la sintomatologia.
Nei casi in cui il trattamento conservativo non ha successo e persiste una significativa limitazione funzionale, trovano indicazione le numerose tecniche chirurgiche descritte per il riallineamento dell’apparato estensore. Nei pazienti con angolo Q normale che non rispondono al trattamento conservativo può essere necessaria la detenzione (release) del retinaculum laterale, che può essere eseguita artroscopicamente o artrotomicamente. Il release del retinaculum laterale retratto consente alla contrazione dei fasci obliqui del vasto mediale di riposizionare la rotula all’interno della fossa patellare.
Con un’incisione artromica parapatellare mediale è possibile eseguire una plastica “a paletot” della capsula articolare, avanzando distalmente e lateralmente i fasci obliqui del vasto mediale. L’intervento determina lo spostamento mediale della rotula e migliora lo scorrimento femoro-rotuleo.
Nei pazienti con un angolo Q abnormemente ampio può essere necessario eseguire la detensione del retinaculum laterale associata alla trasposizione della tuberosità tibiale. Occorre fare attenzione a non trasporre la tuberosità in posizione distale o posteriore.

Lesioni legamentose del ginocchio.
Le lesioni legamentose del ginocchio sono assai comuni negli atleti (Tavola 99). Nelle distorsioni di primo grado il legamento risulta stirato, in assenza di lacerazioni o con lacerazioni di grado minimo. Queste lesioni sono causa di lieve dolorabilità locali, scarso stravaso ematico e tumefazione. In corrispondenza della regione dolente si può manifestare una soffusione ecchimotica che si risolve comunque entro 2 o 3 settimane dal trauma. Mancano i segni di lassità articolare e il trauma non determina alcuna significativa invalidità a lungo termine. Il trattamento prevede il riposo e la successiva riabilitazione muscolare. Le distorsioni di secondo grado sono caratterizzate dalla lacerazione parziale del legamento con conseguente lassità articolare, dolore localizzato, dolorabilità e tumefazione. Se durante l’esame clinico l’operatore esegue dei movimenti di stress, è possibile percepire con precisione una sensazione di “fine corsa” durante la manovra. Dato che la lesione legamentosa è parziale, l’articolazione si mantiene stabile e un’’intensa terapia riabilitativa può essere da sola sufficiente: Le distorsioni di terzo grado inducono la rottura completa del legamento, essendo quindi causa di instabilità articolare. I segni caratteristici di questo tipo di distorsione consistono nella dolorabilità, nell’instabilità, nell’assenza di sensazione di “fine corsa” alla manovra di stress e nella presenza di una vasta ecchimosi. Le lesioni di questo tipo richiedono talvolta il trattamento chirurgico.
Gli strumenti del legamento collaterale mediale si verificano quando viene applicata al ginocchio una sollecitazione di tipo valgizzante. I pazienti riferiscono per lo più una sensazione di scatto o di lacerazione al versante mediale del ginocchio. Nelle lesioni isolate del legamento collaterale mediale il paziente è spesso in grado di deambulare e talvolta porta a termine l’attività durante la quale ha riportato il trauma.
L’’esame clinico evidenzia una dolorabilità lungo il percorso del legamento collaterale tibiale; con un’attenta palpazione è possibile identificare il livello preciso della lesione: all’inserzione del legamento, a livello del condilo femorale mediale, sulla rima articolare (tratto intermedio) o lungo l’estesa area di inserzione del legamento al versante mediale della tibia. Il paziente viene più agevolmente esaminato in decubito supino, con la coscia appoggiata al piano del lettino. Il medico afferra l’arto inferiore con entrambe le mani, portandolo oltre il bordo del lettino e successivamente sollecita il ginocchio in varismo o in valgismo (stress in varo-valgo). Quando il ginocchio è in estensione completa, la stabilità in senso medio-laterale è affidata principalmente al legamento crociato posteriore. Flettendo il ginocchio a 30°, il ruolo di stabilizzazione del crociato posteriore viene escluso e con lo stress in valgo diviene così possibile la valutazione del legamento collaterale mediale.
Le distorsioni di terzo grado del legamento collaterale mediale possono richiedere la sutura chirurgica diretta: le distorsioni isolate di terzo grado possono essere trattate anche solo con il semplice controllo della tumefazione e, successivamente, con la cinesiterapia e il rinforzo del quadricipite femorale e dei muscoli posteriori della coscia.
Una spiccata lassità mediale (in valgismo) può indicare la lesione del punto d’angolo postero-mediale della capsula articolare. In questi casi la terapia chirurgica diviene necessaria per prevenire le instabilità rotatorie residue. Una classica lesione da football americano è la cosiddetta “triade infausta” di O’Donoghue, che consiste nella rottura del legamento collaterale tibiale associata alla lesione del legamento crociato anteriore e alla rottura del menisco mediale. Il trattamento della triade infausta richiede la riparazione delle lesioni legamentose per via artrotomica, con sutura (quando possibile) del menisco mediale.

Rottura del legamento crociato anteriore.
Il legamento crociato anteriore va spesso incontro a rottura a seguito di lesioni che si verificano in corso di accese competizioni atletiche, come ad esempio nel caso in cui un giocatore, nel compiere uno scarto improvviso, torce il ginocchio mentre il piede è fermamente fissato al suolo. L’atleta avverte uno scatto, ha una sensazione di lacerazione e accusa un dolore acuto a carico del ginocchio; spesso è impossibile la prosecuzione dell’attività. Sotto carico il ginocchio è notevolmente instabile: La rottura del legamento crociato anteriore è spesso causa di emartro. I test clinici impiegati per valutare il grado di instabilità del legamento crociato anteriore sono il test di Lachman, il test del cassetto anteriore e il pivot shift test.
Test di Lachman. Si tratta di una manovra di facile esecuzione e relativamente indolore, anche nel paziente con lesione acuta (Tavola 100). Il medico confronta l’entità del gioco articolare del ginocchio interessato con quello controlaterale sano per valutare l’eventuale abnorme mobilità. Il test va eseguito con ginocchio flesso a 20°, per ridurre al minimo l’effetto di stabilizzazione dovuto ai menischi. Con una mano l’esaminatore impugna il femore, mentre con l’altra afferra la porzione prossimale della tibia. Con il paziente rilassato, l’esaminatore tenta di provocare lo scivolamento anteriore della porzione prossimale della tibia rispetto al femore. Se il legamento crociato anteriore è integro, tale scivolamento è minimo. Quando il legamento è interrotto, la manovra determina la sublussazione anteriore della tibia. L’esaminatore deve prendere nota delle caratteristiche di “fine corsa” percepita al termine della manovra. Se al momento in cui la tibia giunge al suo punto di massima dislocazione anteriore si avverte un blocco meccanico, il legamento crociato anteriore può essere lacerato solo parzialmente. Se invece il “fine corsa” è elastico e cedevole occorre sospettare una rottura completa.
Prima di considerare valido il risultato di questo test è necessario accertare l’integrità del legamento crociato posteriore. In caso di rottura del legamento crociato posteriore, infatti, la tibia si sublussa posteriormente, così che quando tale dislocazione posteriore viene ridotta, il test di Lachman sembra positivo.
Test del cassetto anteriore. Il test del cassetto anteriore viene eseguito sul paziente supino e comodamente disteso e con ginocchio flesso a 90° (Tavola 100).
Durante il test il piede del paziente viene fissato dalla coscia dell’esaminatore seduto sul lettino. Il medico afferra con entrambe le mani il polpaccio in prossimità del cavo popliteo e tenta di dislocare anteriormente la tibia. Se il legamento crociato anteriore è leso la tibia avanza in direzione anteriore rispetto al femore. Il test del cassetto anteriore viene ripetuto diverse volte con il piede e la gamba del paziente in intrarotazione, in rotazione neutra e in extrarotazione: Come nel test di Lachman, anche in questo caso occorre confrontare il risultato ottenuto dal ginocchio offeso con quello controlaterale sano. Il test è positivo nelle rotture complete del legamento crociato anteriore, ma è meno sensibile del test di Lachman nella diagnosi delle lesioni parziali.

Instabilità anterolaterale del ginocchio
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Le instabilità secondarie a lesione del legamento crociato anteriore si manifestano con episodi di cedimento del ginocchio. I pazienti riferiscono una sensazione di slittamento del ginocchio nei movimenti di rotazione verso destra o verso sinistra, quando il piede è appoggiato al terreno. Questo slittamento è dovuto alla sublussazione anteriore della tibia sul femore.
Pivot shift test. Il test permette di identificare la maggior parte dei casi di instabilità clinicamente significativa del ginocchio (Tavola 101). Il paziente deve giacere rilassato in posizione supina, mentre il medico si pone lateralmente all’arto teso. Con una mano l’’esaminatore afferra il piede del paziente, mentre l’altra viene posta sul versante laterale del ginocchio, con il pollice in corrispondenza del margine posteriore della testa del perone. Mentre la tibia viene intrarotata dalla mano che sostiene il piede, sul ginocchio esteso viene applicata una sollecitazione in valgismo. Questa manovra determina la sublussazione anteriore dell’emipiatto tibiale esterno sul femore. Quando il ginocchio si trova in estensione, il tratto ileotibiale si trova anteriormente al centro di rotazione attuale del ginocchio e agisce come estensore. Il ginocchio viene quindi lentamente flesso e la sublussazione diviene più evidente. In un punto compreso fra i 20 e i 40 gradi di flessione, il tratto ileotibiale scivola posteriormente al centro attuale di rotazione del ginocchio e, divenuto flessore, provoca l’improvvisa riduzione della sublussazione tibiale, che è palpabile, visibile e spesso udibile.
Una delle conseguenze dovuta al ripetersi delle sublussazioni del ginocchio nel corso delle attività quotidiane è la rottura meniscale. Quando la tibia si sublussa sul femore il menisco esterno viene spinto anteriormente e resta intrappolato fra condilo femorale laterale e margine posteriore del piatto tibiale esterno. Durante la riduzione, le forze complessive che agiscono sul menisco sono di intensità notevole e possono provocare la rottura acuta o un’erosione graduale del menisco, cause di blocco articolare.
Anche altri test, come quello di Losee, che viene eseguito con il paziente in decubito laterale, e il test del cassetto in flessione-rotazione, provocano la sublussazione anteriore della tibia quando il ginocchio è in estensione e la sua riduzione in flessione fra i 20° e i 40°. Nelle instabilità del legamento crociato anteriore tutti questi test sono positivi. Se però il paziente non è rilassato, i test possono risultare falsamente negativi, mascherando la gravità della lesione; per questo motivo è spesso necessario eseguire l’esame in narcosi.

Disinserzioni del legamento crociato anteriore.
La frattura della spina tibiale è un segno di disinserzione parziale o completa del legamento crociato anteriore dalla sua inserzione tibiale (Tavola 102). La frattura si verifica solitamente per un’iperestensione del ginocchio o a seguito di un brusco movimento di torsione. Se la frattura è scomposta, il frammento libero può essere causa di blocco articolare, accompagnato da versamento articolare ematico.
Le fratture di tipo I sono incomplete, mentre quelle di tipo II sono complete ma composte. Le fratture di tipo III vengono suddivise in tipo IIIA (completa e scomposta) e di tipo IIIB (completa, scomposta e ruotata).
Le fratture composte e quelle che si riducono anatomicamente con l’estensione del ginocchio possono essere trattate con l’’immobilizzazione in estensione. La consolidazione si verifica di solito in 5 o 6 settimane; trascorso tale periodo il paziente inizia gli esercizi di mobilizzazione attiva e di rinforzo del quadricipite e dei muscoli posteriori della coscia.
Il trattamento chirurgico è indicato nelle fratture di tipo IIIA e IIIB che non possono essere ridotte incruentamente. La presenza di blocco meccanico dell’estensione costituisce un’indicazione al trattamento chirurgico. La riduzione della frattura può essere ostacolata dall’interposizione del corno anteriore di uno dei menischi fra la spina tibiale e il suo letto.

Lesioni traumatiche del ginocchio
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Nel corso dell’’intervento chirurgico vengono asportati tutti i tessuti molli interposti nel focolaio di frattura e la spina tibiale, ridotta nella sua posizione anatomica, viene sintetizzata mediante sutura o con vite. Una sintesi corretta e stabile consente al paziente di riacquistare rapidamente la motilità, sotto la protezione di un tutore.
Molte rotture acute del legamento crociato anteriore possono essere trattate conservativamente. Nei casi in cui all’esame clinico, eventualmente effettuato in narcosi, la lassità legamentosa appare di grado modesto e non vi sono segni di lesione meniscale, risulta indicato un precoce e intenso programma riabilitativo. Se il test di Lachmann o il cassetto anteriore denotano una lieve instabilità legamentosa, ma il pivot shift test risulta negativo e non vi sono segni di altre lesioni associate, l’immobilizzazione in apparecchio gessato può essere sufficiente.
La fisioterapia è mirata al rinforzo del quadricipite e della muscolatura posteriore della coscia. E’ possibile che un ginocchio inizialmente stabile, sviluppi successivamente una graduale instabilità, che può infine rendere necessaria la plastica del legamento crociato anteriore. L’aumento dell’instabilità può essere causa di lacerazioni meniscali.
In genere il trattamento chirurgico artrotomico è indicato nei pazienti con lesioni del legamento crociato anteriore e positività del pivot shift test. Il tipo di intervento varia in rapporto allo stile di vita del paziente, alle sue aspettative e alle sue condizioni generali. Nei pazienti anziani e sedentari il trattamento chirurgico può non essere necessario, mentre nei pazienti più giovani e molto attivi la terapia chirurgica riparativa o ricostruttiva è spesso indicata. Dato che a distanza di molto tempo dalla ricostruzione spesso si verificano recidive dell’instabilità, lo scopo dell’intervento è di prolungare il più a lungo possibile l’integrità dei menischi ritardando così la comparsa della gonartrosi.
In conseguenza del mancato trattamento o del trattamento conservativo di una lesione del legamento crociato anteriore l’instabilità può essere notevole. I pazienti che lamentano cedimenti del ginocchio durante lo svolgimento delle normali attività quotidiane sono candidati all’intervento ricostruttivo. Quando i cedimenti si presentano unicamente in occasione di attività fisiche intense, può essere sufficiente la prescrizione di un tutore.
Per la riparazione o ricostruzione del legamento crociato anteriore possono essere utilizzate numerose tecniche. La tecnica di Insall previene la sublussazione anteriore della tibia sul femore (Tavola 102). La fissazione del lembo di tratto ileotibiale alla tibia consente la mobilizzazione precoce del ginocchio; il carico completo viene concesso quando il paziente è in grado di raggiungere l’estensione completa. Dopo l’’intervento i pazienti dovrebbero evitare la pratica di sport pericolosi per almeno un anno.
Oggi la tecnica di ricostruzione prevalentemente utilizzata consiste nella sostituzione del legamento crociato anteriore con un lembo osteo tendineo del rotuleo, fissato con due viti.

Rotture del legamento crociato posteriore.
Il legamento crociato posteriore è il principale stabilizzatore del ginocchio in completa estensione. Le più comuni cause di rottura sono l’iperestensione del ginocchio anteriore spesso da trauma diretto sulla sua faccia (Tavola 103). Anche le violente sollecitazioni in varismo o in valgismo dovute alla lesione dei legamenti collaterali possono essere causa di rottura del legamento crociato posteriore.
Test del cassetto posteriore. La diagnosi viene formulata sulla base di un’anamnesi completa e di un attento esame clinico. Il test del cassetto posteriore viene effettuato sul paziente in decubito supino con ginocchio flesso a 90°. Il piede del paziente viene bloccato dalla coscia dell’esaminatore che vi si appoggia sedendosi sul lettino, come per il test del cassetto anteriore. Con entrambe le mani il medico spinge la tibia in direzione posteriore, nel tentativo di sublussarla rispetto al femore. Applicando alternativamente una spinta e una trazione, l’esaminatore può determinare se il legamento crociato anteriore è integro e se la tibia si disloca posteriormente. L’operatore deve identificare il punto di partenza della manovra per poter determinare con precisione quale dei due legamenti crociati è leso.
Segno dello slivellamento posteriore. Il paziente giace rilassato e in decubito supino; uno spessore viene posto al di sotto della parte distale della coscia, mentre il tallone del paziente poggia sul piano del lettino, così che il polpaccio resti sollevato. Il medico osserva lateralmente il ginocchio, in presenza di rottura del legamento crociato posteriore, la tibia si sublussa posteriormente e la superficie anteriore della porzione prossimale della gamba appare livellata rispetto al femore.
Un deficit del legamento crociato posteriore permette l’iperestensione del ginocchio. La rottura del legamento crociato posteriore rende possibile una notevole iperestensione ed è responsabile di un’abnorme lassità alle sollecitazioni in varismo e in valgismo in estensione completa.
Come per il legamento crociato anteriore, l’avulsione dell’inserzione del legamento costituisce indicazione alla sua reinserzione chirurgica.

Lesioni traumatiche del ginocchio.
Nei casi in cui non è possibile effettuare l’osteosintesi del frammento avulso, la maggior parte dei chirurghi opta per il trattamento conservativo. Gli interventi riparativi sul legamento crociato posteriore hanno di solito minor successo di quelli sul crociato anteriore: spesso, infatti, l’instabilità recidiva e residua una limitazione funzionale. I risultati degli interventi ricostruttivi nei casi di rottura del legamento crociato posteriore associata a lesione del punto d’angolo postero-laterale della capsula aricolare sono spesso modesti.
La ricostruzione del legamento crociato posteriore è indicata solo nei pazienti con richieste funzionali del tutto particolari o nei soggetti con grave instabilità. Una tecnica prevede la trasposizione dell’’origine del gemello mediale. Dopo l’’intervento il ginocchio viene immobilizzato in flessione di 30° con un apparecchio gessato o una doccia per un periodo di 6-8 settimane; successivamente viene intrapresa un’intensa terapia riabilitativa. Dopo un simile periodo di immobilizzazione la ripresa della completa estensione è assai difficile.

Lussazioni del ginocchio
La lussazione del ginocchio deve essere distinta dalla lussazione della rotula. Mentre, infatti, quest’ultima coinvolge l’articolazione femorotulea, la lussazione del ginocchio interessa l’articolazione femoro-tibiale (Tavola 104). Qualsiasi lussazione costituisce un’’emergenza e la lussazione del ginocchio non fa eccezione. La causa patogenetica più frequente è costituita dall’’urto violento del ginocchio contro il cruscotto dell’autovettura durante un incidente stradale, ma anche le lesioni sportive sono piuttosto comuni. L’interessamento dell’arteria poplitea o dei suoi rami è più frequente: in ogni lussazione del ginocchio deve essere    sospettata la presenza di lesioni arteriose la cui diagnosi spesso richiede l’esecuzione di un’arteriografia. La riparazione delle lesioni arteriose deve essere eseguita immediatamente.
La classificazione delle lussazioni del ginocchio si fonda sulla posizione della tibia rispetto al femore. Nelle lussazioni anteriori la tibia è in posizione anteriore rispetto al femore, mentre nelle lussazioni posteriori è dislocata posteriormente ad esso. Sono inoltre possibili lussazioni laterali, mediali e rotatorie, nonché situazioni miste, quali le lussazioni antero-laterali o postero-laterali. Il riscontro di lesioni vascolari è più frequente nel caso di lussazioni anteriori, mentre nelle posteriori è più frequente osservare la lesione del nervo peroneo.
La diagnosi di lussazione del ginocchio si fonda sull’anamnesi e sul riscontro dei segni clinici caratteristici. Se la lussazione non si è ridotta spontaneamente prima che il paziente venga esaminato la diagnosi è agevole, per l'evidente deformazione del ginocchio. La riduzione spontanea delle lussazioni del ginocchio è comunque piuttosto comune. Quando all’esame clinico o a quello radiografico non è evidente una lussazione, ma all’anamnesi si rileva un grave traumatismo a carico del ginocchio occorre sospettare che si sia verificata la riduzione spontanea di una lussazione. Il riscontro di grossi versamenti o di emartro è raro: l’ampia lacerazione della capsula articolare consente, infatti, la diffusione del liquido nei tessuti molli particolari.
Il trattamento iniziale della lussazione del ginocchio prevede la riduzione, che va eseguita al più presto. La manovra di riduzione viene eseguita con una cauta trazione longitudinale: è talvolta utile una blanda sedazione. In caso di difficoltà, la manovra deve essere effettuata in narcosi. Dopo la riduzione è necessaria l’attenta sorveglianza delle condizioni neurovascolari dell’arto.
Molte lussazioni del ginocchio vengono trattate con immobilizzazioni in doccia o in apparecchio gessato; dato che il ginocchio, una volta ridotto, è piuttosto instabile, è difficile mantenere i capi articolari in posizione corretta senza ricorrere alla sintesi interna. A questo scopo è possibile impiegare grossi chiodi di Steinmann [o preferibilmente la ricostruzione (n.d.s.)] oppure è possibile eseguire la riparazione chirurgica dei legamenti e della capsula articolare lacerati. La riparazione chirurgica mantiene la riduzione e assicura la stabilità a lungo termine.
La triforcazione dell’arteria poplitea è vincolata al piano osseo nel punto in cui l’arteria tibiale anteriore si impegna in un foro della membrana interossea. Spesso nelle lussazioni anteriori si verifica un grave stiramento dell’arteria e della vena poplitea. Se la lussazione non viene ridotta e se l’ostacolo al flusso persiste per alcune ore, il ripristino del circolo può determinare la comparsa di una sindrome compartimentale, che rappresenta una complicanza grave dalle conseguenze spesso irreversibili.